domenica, gennaio 14, 2007

 

iphone e transmedia storytelling

Una nuova chiave di lettura del giornalismo partecipato

Partiamo da qui:

"E tutto è lì, a un clic dal tuo mouse, e sotto la lente d'ingrandimento di Henry Jenkins, il professore del MIT che lo scorso anno ha pubblicato Convergence Culture (New York University Press, 2006), il libro più affascinante che mi sia capitato di leggere sui processi culturali del nostro tempo.
Jenkins esplora con metodo una nuova frontiera dove il potere dei media e quello dei consumatori interagiscono in maniera sorprendente e la creatività popolare influenza e modifica quella delle grandi corporation. In questo territorio ibrido i due elementi indicati da Johnson - massimizzare il piacere della reiterazione, stimolare la partecipazione attiva - si fondono in un unico programma: la creazione di mondi, un espediente narrativo noto fin dai tempi di Omero e dell'epica greca. Storie che non ci si stancava mai di riascoltare e che invogliavano a immaginare altre storie, deviazioni, avventure eroiche di personaggi secondari. Storie che plasmavano un'intera comunità, e non soltanto per i valori che trasmettevano e garantivano.
Entrare in un mondo nuovo, capirne le regole, reagire, andare più in profondità, confrontarsi con altri esploratori: è questa l'essenza di molti videogiochi (e il motivo per cui non sono attività di ottenebramento cerebrale, ma anzi palestre di problem solving, fantasia e intelligenza emotiva). E' anche l'essenza di grandi successi di cassetta come Il Signore degli Anelli, Harry Potter, Guerre Stellari e di molte serie televisive, da Star Trek ai Simpsons.
La differenza con i poemi omerici, fa notare Jenkins, sta nelle capacità transmediali degli odierni narratori e architetti di universi. L'epopea di Matrix, per fare un esempio, è spalmata su diversi supporti: ci sono tre film, diversi videogiochi, una serie a fumetti e cartoni animati, senza contare le innumerevoli produzioni dei fan, impossibili da catalogare, ma che senza dubbio riempiono gli ambiti lasciati vuoti dai fratelli Wachowski: teatro, letteratura, abbigliamento e quant'altro.
Caratteristica fondamentale di questo nuovo modo di raccontare (che Jenkins chiama transmedia storytelling) è che le diverse storie risultino intrecciate, non sovrapponibili e indipendenti tra loro. L'adattamento di un romanzo ad uso del cinema non rientra nella casistica. Non si tratta di riproporre lo stesso intreccio con linguaggi diversi ma di usare linguaggi diversi per comporre frammenti autonomi di un unico intreccio. Per farla breve, chi acquista il fumetto non deve aver bisogno del film per portare a termine la lettura; tuttavia, nel caso veda il film, gli saranno più chiari tutta una serie di rimandi altrimenti incomprensibili e questo arricchirà la sua conoscenza di quel determinato mondo.
Ora ecco il punto: un narratore, un regista, uno scrittore può reagire in due modi diversi al quadro tracciato fin qui. Può considerarlo marketing, cassetta degli attrezzi per fidelizzare il cliente e costruire macchine da incasso, e scegliere o meno di tenerne conto, a seconda di quanto ritenga importante il successo e il denaro rispetto alla sua produzione.
Dall'altra parte, può pensare che la complessità dell'intreccio, l'abbondanza di personaggi e relazioni sociali, il coinvolgimento del pubblico, la costruzione di un mondo e il trasmedia storytelling siano una parte importante di quel che intendiamo per "raccontare storie" nel Ventunesimo secolo. Su questa base, ancora una volta, potrà decidere di intraprendere quel percorso o di restare un narratore, un regista, uno scrittore classico, stile Novecento.
Fatto salvo il rispetto per tutte le opzioni, sono convinto che oggi, in Italia, ci sia bisogno di una generazione di narratori pronta a sperimentare questi strumenti come utensili per plasmare storie, e non solo per venderle.
Com'è successo dieci anni fa con gli scrittori di genere, che in qualche modo hanno raccolto e vinto la sfida della complessità, immagino che le patrie lettere possano vivere un nuovo scarto, una nuova stagione, se molti autori si impegneranno a scrivere storie che anche altri possano abitare: professionisti, fan, fumettari, cineasti, grafici e teatranti. Scrittori capaci non solo di battere le dita su una tastiera, ma di coinvolgere altri in una narrazione aperta, espansa, che stimoli le sinapsi e le comunità di lettori.
Ma di questo, come ci insegna Desperate Housewives, parleremo meglio alla prossima puntata".

(Wu ming 2)

L'iphone è un ipod con lo schermo più grande e un'antenna gsm: serve anche per telefonare. Ha un difetto in particolare: funziona soltanto con software Apple. E'
un sistema chiuso, alla faccia di open source e Web 2.0...

L'iphone è un approccio vecchio (non per questo inadatto): non consente le modifiche, la persnalizzazione, ma magari facilita la costruzione di una community (è wi-fi, ha gli strumenti per il browsing). Non è partecipato, insomma: un po' come il tanto osannato motore di ricerca Google, che non è davvero personalizzabile. Scatole chiuse.

L'idea di narrazione transmediale è un passo in avanti: si tratta di accontare storie in cui altri possono inserirsi e creare rimandi o altri percorsi. Link di link. Per il giornalismo potrebbe significare: il tuo pezzo non finisce quando ci metti sotto la firma, perchè altri aggiungono nuovo materiale e integrano e complicano la storia (con un video, una canzone, slides o altro). Insomma, un pEzzo senza fine.

Che c'entrano l'iphone e la narrazione transmediale (o come direbbe qualcun altro "crossmediale")? Ai lettori la risposta.

Comments:
sarà che non ho fiducia nel futuro mediale, ho visto troppi film di fantascienza nei quali l'informazione e la tecnologia erano usati per asservire anzichè servire, cosa spesso già vera ora. cmq sullo storytelling multimediale mi viene in mente un caro vecchio adagio post modernista: A chi conviene?
a chi conviene usare tutti questi strumenti comunicativi per spalmare storie su + piattaforme? ma certo ci sono e xchè non usarle? un bisogno indotto forse dalle nuove case che creano oggetti nuovi non perchè servono ma x guadagnare, forse non siamo ancora pronti perchè lo storytelling multimediale possa realmente servire...
maestro
 
Mitico Maestro :) E' proprio tanto che non ci sentiamo: come va? ndo stai? :))))

Cmq, di sicuro ci sono interessi economici, ma non c'è ulla di male (anche comprando un cd paghi dei soldi alle case discografiche). A cosa serve lo storytelling transmediale: a partecipare ai racconti, ognuno secondo i suoi mezzi o la sua voglia: a una notizia aggiungi un racconto che parte da quella notizia, che poi diventa un videoclip o una ballata...oppure non sarà niente, ma voglio scommettere sulla creatività.

ps: e Mastro Nnunzio?
 
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