mercoledì, luglio 06, 2005

 

A rischio la strada di Marco Polo

La via della seta, l'antica strada tra oriente e occidente ha urgente bisogno di opere di restauro: saranno stanziati 9,6 milioni di dollari l'anno, assicura un funzionario della regione cinese che una volta era attraversata da mercanti, predicatori, guerrieri, diplomatici e viaggiatori: il Xinjiang (o Sinkiang, nella vecchia trascrizione), a nord-ovest della Repubblica popolare fondata da Mao.

Marco Polo è stato il mercante italiano più famoso ad aver percorso la strada carovaniera che collegava La Cina con Ta Qin, l'impero romano: i primi contatti tra due mondi così distanti sono stati gemme, spezie, tessuti. Non armi da fuoco o droga, che oggi infestano tutta l'Asia centrale.
Sono due le caratteristiche del Xinjiang, che unite diventano esplosive: è una regione ricca di petrolio, è una regione musulmana. Il governo di Pechino ha bisogno del greggio per alimentare la vorace crescita economica, ma è anche inflessibile con l'etnia degli Iuguri, musulmani che sono la maggioranza della popolazione nel Xinjiang.

Lascio la parola a Ettore Mo, inviato del Corriere della Sera, che scriveva nel 1996 di Kashgar, un'antica capitale dell'attuale Xinjiang (o Sinkiang):
"Molto e' stato scritto su questa mitica citta' - mercato dell' Asia, capoluogo del Sinkiang sud - occidentale, che settecento anni fa vide giungere, stremato dalla traversata del Pamir, il ventenne Marco Polo: ancor oggi, appena vi metti piede, non puoi sfuggire alla sensazione di trovarti nel piu' esotico, tumultuoso e frenetico crocevia del mondo. E ne resti stregato. Qui s' incrociavano le carovane che dall' Estremo Oriente si dirigevano verso l' Ovest e quelle che procedevano in senso contrario, dalle sponde del Mediterraneo verso il mare della Cina: un passaggio obbligato lungo quella pista tortuosa e infinita che sarebbe stata genialmente battezzata, il secolo scorso, la Via della Seta. Ma la seta (che vi transitava gia' dal tempo dei Romani) era soltanto uno dei prodotti delle merci di scambio che Oriente e Occidente si palleggiavano a Kashgar nella prima fase dei grandi commerci internazionali: da una mano all' altra dei mercanti passavano agilmente oro, avorio, pietre preziose, tessuti di lana e di lino, pellicce, ceramiche, giade, cianfrusaglie d' ogni genere e perfino armi. Ed e' presumibile che nel caotico spettacolo della compravendita in cento lingue, gialli, bianchi, ambrati e neri tirassero spasmodicamente sul prezzo. Qui il tempo s' e' fermato. Vi fossi capitato un secolo fa, quando audaci esploratori come Sven Hedin si apprestavano ad affrontare il deserto di Taklamakan alla ricerca di una civilta' sepolta nella sabbia, avrei trovato lo stesso termitaio di formiche umane, uyguri, cinesi, uzbeki, kazaki, kirghisi, tibetani, mongoli, stipati dietro le bancarelle o nelle bottegucce del piu' festoso e velenoso artigianato, alle prese con l' oro, il cuoio, le pelli, il ferro, il legno, nell' aroma della segatura, dei trucioli, del the, del pane appena rovente del forno, della carne di montone e d' agnello infilzata nello spiedo."

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